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cgil CGIL - Camera del Lavoro di Brescia

Il “decreto dignità” deve essere il primo passo. Bene ma insufficiente

Un decreto poco organico, che agisce con poca decisione, nettamente lontano dalla propaganda fatta nel periodo elettorale; tuttavia una misura che introduce temi importanti e che comincia a dare risposte alla vita delle persone. La nota di Camera del Lavoro e Nidil Cgil Brescia


La CGIL, da tempo ed in particolare con la Carta dei diritti del Lavoro chiede che vengano ridisegnate profondamente le regole del mercato del lavoro nella direzione di una maggior tutela e di una maggiore sicurezza del lavoro.
Il Decreto Dignità contiene alcune misure interessanti e condivisibili, che ci auguriamo saranno utili a porre un freno al dilagare del lavoro precario e a termine, anche se - purtroppo - le norme approvate dal consiglio dei ministri il 2 luglio non sono di certo coraggiose.

I dati sull'andamento del mercato del lavoro degli ultimi anni hanno sempre evidenziato il continuo aumento dei contratti a termine rispetto ai contratti stabili. I dati di maggio sull’occupazione diffusi dall’Istat fotografano la medesima situazione, dei 457mila nuovi occupati 434mila sono a tempo determinato. I contratti a termine sono il 95% del totale. Il lavoro in somministrazione (lavoro interinale) segue il medesimo trend. 

Per dare l’idea del fenomeno, prenderemo in considerando - a titolo di esempio - una agenzia “interinale” tra le più note nel territorio Bresciano. I dati ufficiali evidenziano come questa agenzia impieghi a tempo determinato 1024 persone (conteggio fatto esclusivamente prendendo in considerazione le aziende che hanno più di 15 persone interinali impiegate) e le invii a lavorare in diversi luoghi; tra questi: un famoso negozio di scarpe della grande distribuzione dove sono impiegati 165 lavoratori interinali, un grosso centro di assistenza fiscale in cui lavorano 371 interinali, e una piccola azienda produttiva con 10 dipendenti diretti dove ne sono impiegati ben 93.

I numeri parlano chiaro: la leggera ripresa economica ha prodotto solo lavoro a tempo determinato, che sappiamo essere precario e maggiormente ricattabile. Non è un caso che gli infortuni sul lavoro aumentino, in queste condizioni far rispettare le norme di sicurezza può essere molto più difficile.

Il decreto dignità interviene innanzitutto sul contratto a termine e sul lavoro in somministrazione (interinale). Reintroduce le causali di utilizzo, definisce cioè quali sono i casi in cui è possibile mettere una data di scadenza ad un contratto di lavoro, senza il quale sarebbe ovviamente un contratto a tempo indeterminato. Ne riduce il tempo massimo da 36 a 24 mesi e aumenta il costo contributivo di ogni proroga (dalla seconda). Il decreto tenta quindi di disegnare un perimetro più preciso all'utilizzo dei contratti a termine e stimola la trasformazione a tempo indeterminato, tipologia contrattuale di cui il mondo del lavoro ha estremo bisogno, a partire dalle nuove generazioni che da troppo tempo non trovano altro che lavoretti poco professionalizzanti. Si pensi ai riders, icona del nuovo sfruttamento.

In sostanza, pur essendo un decreto poco organico, che agisce con poca decisione, nettamente lontano dalla propaganda fatta sulla tematica centrale del lavoro fatta nel periodo elettorale, è una misura che introduce alcuni temi importanti e che comincia a dare risposte importanti alla vita delle persone, che vivono del loro lavoro.
Soprattutto, ristabilisce un concetto giuslavoristico importantissimo: in Italia “i lavoretti” non sono e non devono essere la norma, il contratto principale è a tempo indeterminato. 

Adriano Favero (Seg. Gen. Nidil Cgil Brescia)
Flavio Squassina (Segreteria Camera del Lavoro di Brescia)

 

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